Preeclampsia e rischio cardiovascolare: fondamentale tenersi sotto controllo per tutta la vita
Nelle donne che hanno sofferto di preeclampsia durante la gravidanza raddoppia il rischio di diverse patologie cardiovascolari: ecco perché è importante tenersi sotto controllo per tutto l’arco della vita.
La preeclampsia, un tempo chiamata anche gestosi, può svilupparsi durante la gravidanza ed è caratterizzata da un aumento della pressione sanguigna, spesso accompagnato da proteinuria, ovvero da maggiori livelli di proteine nelle urine. Purché affrontata correttamente durante la gravidanza, la condizione si risolve da sola entro qualche settimana dal parto, ma secondo recenti ricerche potrebbe lasciare un impatto a lungo termine sul sistema cardiovascolare, con un aumento di rischio per svariate patologie, come le malattie coronariche, l’insufficienza cardiaca e l’ictus.
Una review sistematica delle evidenze finora a disposizione è stata di recente pubblicata sull’European Heart Journal grazie alla collaborazione tra Nicoletta Di Simone responsabile del Centro Multidisciplinare di Patologia della Gravidanza di Humanitas San Pio X e direttrice della scuola di specializzazione in Ginecologia e Ostetricia di Humanitas University – e Giulio Stefanini referente per la ricerca clinica del Cardio Center di Humanitas e professore associato di Cardiologia in Humanitas University. Lo studio sottolinea la necessità, per le donne che hanno sofferto di preeclampsia, di fare prevenzione e monitoraggio cardiovascolare per tutta la vita.
Cos’è la preeclampsia
Colpisce tra il 3% e il 5% di tutte le gravidanze, manifestandosi in genere dopo la ventesima settimana di gestazione. Tra i sintomi che permettono di riconoscerla, oltre alle più caratteristiche ipertensione e proteinuria, ci sono gonfiori diffusi (dovuti alla ritenzione dei liquidi), aumento di peso, mal di testa e nausea.
“La causa della condizione non è completamente chiara, sicuramente sono coinvolti un insufficiente sviluppo placentare e dei vasi sanguigni che alimentano la placenta. Alcuni fattori di rischio includono una storia familiare di preeclampsia, l’obesità, l’età materna alle estremità del periodo fertile (molto giovane o oltre i 40 anni), il fatto di avere gravidanze multiple e la presenza di condizioni mediche preesistenti, come ipertensione, diabete o malattie renali, il ricorso a tecniche di fecondazione in vitro” spiega Nicoletta Di Simone.
La malattia può esordire all’improvviso o rimanere parzialmente silente fino a una rapida evoluzione verso l’eclampsia. “Se non viene trattata correttamente, può portare a complicazioni anche gravi, sia per la futura mamma che per il bambino. La ricerca ci dice però che tale condizione, anche quando affrontata a dovere, lascia traccia del suo passaggio: il rischio di incorrere in malattie cardiovascolari anche a distanza di molti anni è il doppio rispetto alle donne che non ne sono colpite”.
Le nuove evidenze sul rapporto tra preeclampsia e rischio cardiovascolare
Come riassunto dalla recente review sistematica pubblicata sull’European Heart Journal, il rischio è doppio, in particolare, per morte cardiovascolare, malattie coronariche, insufficienza cardiaca e ictus. L’aumento di rischio si rivela a partire da 1 a 3 anni dopo il parto e non cambia per i successivi 39 anni di follow-up finora osservati, arrivando quindi fino alla vecchiaia.
L’analisi – che include 22 studi condotti negli ultimi vent’anni, per un totale di oltre 13 milioni di donne monitorate – segnala l’urgenza di una gestione attenta e continuativa della salute cardiaca nelle donne che hanno sperimentato questa condizione.
“Questi dati suggeriscono la necessità di un cambiamento nel modo in cui la comunità medica affronta la preeclampsia: non più come un disturbo confinato alla gravidanza, ma come un campanello d’allarme per la salute futura della donna. L’attenzione dovrebbe quindi concentrarsi sulla prevenzione e sul monitoraggio a lungo termine,” afferma Giulio Stefanini. “L’analisi degli studi ci permette anche di dire che curare la condizione in modo tempestivo riduce l’impatto a lungo termine e quindi riduce il rischio. Un motivo di attenzione in più verso eventuali sintomi che segnalino la sua presenza.”