Genetica e complicanze da Sars-Cov-2: tra fattori di rischio il gruppo sanguigno e una variazione sul cromosoma 3
Le persone che appartengono al gruppo sanguigno A e quelle che hanno una specifica variazione genetica sul cromosoma 3 sono più a rischio di sviluppare una forma grave di Covid-19 con complicanze respiratorie. È quanto emerge da uno studio pilota GWAS (Genome-Wide Association Study), una ricerca europea guidata dalle Università di Kiel (Germania) e di Oslo (Norvegia) che ha visto la partecipazione di sette ospedali italiani e spagnoli (Milano, Monza, Madrid, San Sebastian e Barcellona). Allo studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine, hanno contribuito, per l’Italia, Humanitas University-Istituto Clinico Humanitas, insieme a Università Bicocca-Ospedale San Gerardo di Monza e Policlinico di Milano.
Stefano Duga, ricercatore di Humanitas e docente di Humanitas University, è tra gli autori dello studio, con la collega Rosanna Asselta. “Il nostro obiettivo – spiega – era capire quali sono le componenti genetiche che causano la forma più grave dell’infezione da Sars-Cov-2. Abbiamo analizzato i campioni relativi a 1.980 pazienti con insufficienza respiratoria, confrontandoli con gli individui che rappresentano i controlli, e valutato milioni di variazioni genetiche”.
Come è stata svolta la ricerca genetica?
Il lavoro è stato esteso a tutto il genoma, con focus sulla severità della malattia. Abbiamo esaminato pazienti che hanno avuto bisogno di un supporto respiratorio, con ricovero ospedaliero, fino all’intubazione in terapia intensiva. Abbiamo cercato le regioni del genoma nelle quali i malati più gravi hanno frequenze delle variazioni genetiche che sono significativamente diverse rispetto ai soggetti di controllo. Quando si vedono questi segnali, significa che in quella regione è presente un gene che può avere un ruolo di predisposizione alla malattia o di protezione.
Quali fattori di rischio avete individuato?
Il primo fattore che abbiamo trovato è un segnale sul cromosoma 9, che corrisponde al locus dove si trovano i geni che controllano il gruppo sanguigno 0. Abbiamo messo in evidenza come appartenere al gruppo 0 abbia un ruolo protettivo rispetto alle forme più gravi della malattia Covid-19, mentre appartenere al gruppo A sembra rappresentare un fattore di rischio.
Qual è la causa di questa relazione tra severità della malattia e gruppo sanguigno?
Non la conosciamo ancora con certezza. Sappiamo però da altri studi che gli individui di gruppo 0 hanno di solito un minore rischio di sviluppare malattie trombo-emboliche. Questo per una relazione tra gruppo sanguigno e alcuni fattori della coagulazione. Abbiamo anche imparato che la malattia Covid-19 ha una componente di trombo-embolismo importante.
Quale altro segnale è stato individuato?
Abbiamo trovato anche un altro segnale sul cromosoma 3. Corrisponde a un gruppo di geni tra cui SLC6A20, che interagisce con la proteina ACE2, il principale recettore di superficie delle cellule riconosciuto dal virus e usato per infettarle. Inoltre in questa regione ci sono altri geni che sono buoni candidati.
Quali effetti ci possiamo aspettare da queste scoperte per le persone positive a Sars-Cov-2?
Le potenziali conseguenze future per la cura dei pazienti sono almeno due. Da un lato c’è la possibilità di classificare i soggetti in base al maggiore o minore rischio di contrarre una forma grave. Questo sarà molto importante in caso di nuova recrudescenza del virus. Sappiamo che i fattori di rischio principali sono l’età, le co-morbilità, il sesso maschile, ma anche le informazioni genetiche ci permettono di capire chi è più a rischio e deve essere monitorato in modo più attento. Un’altra conseguenza è la possibilità, offerta dalle informazioni ottenute dagli studi genetici, di identificare dei bersagli molecolari per i farmaci.
Di cosa si tratta?
Quando avviene una pandemia improvvisa come questa, lo sviluppo di nuovi farmaci non può passare solo dallo studio di nuove molecole, perché ci vuole troppo tempo. Quello che possiamo fare è identificare i meccanismi molecolari della patogenesi di questa malattia, e così trovare bersagli per cui già abbiamo i farmaci a disposizione. L’esempio più noto è l’utilizzo dell’eparina per contrastare la componente di trombo-embolismo. Questo permette di accorciare di molto i tempi per la sperimentazione dei farmaci.