Discorso di inaugurazione del Magnifico Rettore Luigi Maria Terracciano per il nuovo Anno Accademico 2023/2024
“Rivolgo a tutti un caloroso benvenuto all’inaugurazione dell’anno accademico 2023/2024 di Humanitas University.
Un sincero e particolare ringraziamento al Ministro dell’Università e della Ricerca, la Senatrice Anna Maria Bernini e al Ministro della Salute, Prof. Orazio Schillaci, per aver voluto onorare questa cerimonia con la loro presenza e i loro interventi.
Saluto le Istituzioni presenti: il Presidente della Regione Lombardia, il Sindaco di Pieve Emanuele e il Sindaco di Milano, così come tutte le Autorità Accademiche, Civili, Militari e Religiose.
Rivolgo un cordiale saluto e un ringraziamento ai Pro-Rettori e ai Delegati Rettorali dell’Ateneo, per il costante, efficace e amichevole sostegno che mi hanno assicurato nell’assolvimento dei miei compiti. Saluto e ringrazio, come sempre, il Direttore Scientifico, Prof. Alberto Mantovani, così come i colleghi docenti, il personale tecnico amministrativo e, con particolare affetto, le studentesse e gli studenti.
Humanitas University celebra, nel 2024, i dieci anni dalla sua fondazione e oggi anche l’apertura dell’anno accademico che ha visto l’insediamento come Rettore di chi Vi parla.
La Relazione che mi accingo a esporre – più breve del consueto, per la felice ricchezza del programma odierno – racconta di un anno particolare, nel quale, mentre nel mondo si proietta l’ombra cupa di un’ulteriore guerra per alcuni imprevista e incomprensibile, le università sono chiamate a rappresentare una zona franca, un terreno non belligerante, ma neanche neutrale, in cui le diverse culture e storie devono continuare a comunicare mantenendo un linguaggio comune per il futuro. In tempi di incertezza e crisi, è infatti essenziale riscoprire e mettere al centro il ruolo fondamentale delle università nella costruzione di comunità forti e libere.
Prima di toccare questo tema centrale per la vita della nostra università, desidero però riallacciarmi all’intervento del nostro Presidente, il Dr. Gianfelice Rocca, per condividere una visione che trovo entusiasmante per il futuro, un progetto che va oltre la creazione di un’università di medicina tradizionale. Stiamo parlando di costruire una comunità, un luogo dove l’educazione non è solo la trasmissione di conoscenze, ma anche un esercizio costante del dialogo, dell’inclusione e dello scambio culturale tra i vari saperi delle Health Sciences.
L’Università che stiamo progettando, per i prossimi anni, ha l’obiettivo di diventare un riferimento importante nella formazione dedicata alle scienze della vita. La sua vocazione va oltre la mera istruzione medica: vuole aggiungere una dimensione di cura che abbracci ogni singola persona.
Stiamo formando professionisti medici, infermieri, fisioterapisti, tecnici di varie competenze, e soprattutto coltiviamo individui consapevoli del proprio ruolo nella società e della responsabilità di contribuire al benessere collettivo.
La nostra comunità accademica si proietta necessariamente in un’idea di futuro, all’interno della quale la Clinica si unisce con la Formazione e la Ricerca.
Vogliamo costruire una nuova figura di personale di cura, capace di integrarsi con tutti gli altri professionisti presenti nelle aree sanitarie, siano essi medici, infermieri, fisioterapisti, assistenti sociali, professionisti delle aree tecnico-sanitarie, della riabilitazione e della prevenzione, in un percorso formativo orizzontale e non più verticale.
Fondamentale, tra gli obiettivi del nostro Ateneo, è l’integrazione delle professioni sanitarie a ogni livello, in un chiaro contesto di peculiarità e competenze. La scommessa di Humanitas University è proprio lo sviluppo di una cultura interprofessionale, focalizzata sulla cura della persona che soffre.
Dico persona, e non paziente, per sottolineare che al centro deve esserci la figura umana nella sua interezza e non una malattia che, in una sorta di arida metonimìa, identifichi il paziente con i suoi sintomi.
Sappiamo che lo sviluppo di questa cultura interprofessionale, caratterizzata da continue contaminazioni dei saperi, non è esente da ostacoli culturali, organizzativi e normativi ma, secondo noi, essa rappresenta una necessità ineludibile della figura di personale sanitario che vogliamo costruire, declinata in tutte le sue accezioni.
Certo, bisogna essere sostenibili, e la nostra urgenza su questo tema è culturale prima che gestionale, scommettendo quindi anche su una medicina di prossimità e territori come luoghi di relazione e di cura.
Il nostro obiettivo centrale è promuovere una visione olistica della salute, in cui il paziente si trova al centro di un team integrato che lavori insieme per il suo benessere. Citando un intervento di Mariella Enoc, già Presidente dell’Ospedale Bambin Gesù, «la sfida per un’Università come questa è di formare medici e operatori sanitari che siano grandi esperti di umanità a partire dalle loro professionalità».
Il ruolo del medico negli ultimi decenni è profondamente cambiato. Quando ho iniziato a fare il medico, vi era una sorta di alone di sacralità e paternità intorno alla sua figura. Oggi la vera grande conquista dell’etica medica è l’autonomia del paziente: coinvolgerlo nelle decisioni e chiedere il suo consenso e la sua collaborazione.
Per il medico riconoscere l’autonomia del paziente significa dunque coinvolgerlo nelle decisioni e chiedere il suo consenso. L’autonomia, intesa in questo senso, è spesso invocata per difendersi sia dall’accanimento terapeutico sia dal paternalismo dei medici. In senso più esteso, e alla luce di una più strutturata prospettiva teorica, soprattutto di impostazione libertaria, l’autonomia del paziente è considerata come un principio supremo e prioritario, il criterio decisivo per valutare le scelte morali.
Questa lettura comporta però il rischio di ridurre la relazione medico-paziente a un rapporto tecnico e freddo. La formazione accademica del medico e del personale sanitario che si è andata affermando nel corso del XX secolo ha spostato progressivamente il suo baricentro dal letto del paziente al banco del laboratorio.
La medicina, la più umanistica tra le discipline scientifiche e la più scientifica tra quelle umanistiche, è stata trasformata in un’attività asettica e iper-specialistica, che ha perso di vista il paziente nella sua interezza, e ha inevitabilmente depauperato la sua stessa capacità terapeutica, fondata appunto sull’unicità della relazione con il paziente.
Appare quindi fondamentale incentivare, nel percorso formativo, l’approccio multidimensionale, volto a creare connessioni fra ciò che è già formalmente erogato (bioetica, storia della medicina, pedagogia medica, igiene e sanità pubblica) e ciò che non lo è ancora in modo strutturato (antropologia medica, sociologia, letteratura e arte).
Bisogna fornire ai medici e al personale sanitario quelle competenze soft di tipo relazionale-comunicativo e gestionale-operativo che devono necessariamente affiancare le competenze tecniche di tipo hard, in una prospettiva olistica che consideri le Medical Humanities parte integrante della “borsa dei ferri” del medico del XXI secolo.
Le scienze della vita stanno attraversando un’epoca di evoluzione accelerata con lo sviluppo tecnologico e la medicina di precisione. Tuttavia, questo progresso non deve dimenticare il ruolo essenziale dell’essere umano.
In primis è necessario sviluppare un corretto approccio da parte di noi uomini di scienza verso l’intelligenza artificiale.
Significa conoscere la nostra propensione a identificare gli automatismi in azione nella macchina oppure ad attribuirvi una capacità magica di risolvere problemi complessi. Bisogna quindi indagare nell’antropologia, quanto meno quella dell’Occidente avanzato, per capire come le nostre mancanze, fragilità e insicurezze vengano compensate evocando un’alterità potente, rassicurante e incantatrice, capace di sollevarci dalla responsabilità angosciante di prendere decisioni in condizioni di incertezza.
Le tecnologie digitali, come in precedenza la scrittura e la stampa, prefigurano una grande rivoluzione nel processo di creazione, organizzazione e validazione della conoscenza con un grande impatto anche nel nostro sistema di Welfare.
È importante gestire questa trasformazione per preservare giustizia, libertà, uguaglianza tra gli esseri umani e per guidare il contributo e il ruolo dell’Intelligenza Artificiale nelle Health Sciences.
La sfida non è solo tecnica: riguarda soprattutto che tipo di politica perseguire. Una presa di decisione automatica potrebbe intervenire sulle regole della convivenza civile in modo irreversibile e, nel mondo delle Health Sciences, istituire pervasive pratiche nel processo diagnostico, terapeutico e di sorveglianza.
La posta in gioco è quale competenza conti rispetto al riconoscimento dei criteri di validità scientifica, e non solo: sono in discussione processi che definiscono la soggettività umana, la delega alla tecnica e il governo dell’intuizione e dell’immaginario. Attraversiamo una fase di passaggio nella quale possiamo ancora concepire pratiche e istituzioni capaci di decidere come gestire l’intelligenza artificiale in ambito medico.
La tecnologia rappresenta un’interfaccia per rapportarsi socialmente tra esseri umani, ma anche una connessione con gli altri esseri viventi e il mondo inorganico. Occorre riflettere su quali opzioni renderanno tali rapporti più duraturi e fiorenti, specialmente se intendiamo il nostro modo di essere come il nodo di un sistema triadico in cui la tecnologia possa svolgere funzioni di mediazione, rappresentazione e intervento, senza consegnarci a una fantomatica, insidiosa razionalità prefabbricata, unica e univoca.
In questo quadro di forti cambiamenti tecnologici va inserita anche la richiesta da parte del mondo politico di modifiche all’accesso ai corsi di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia. Come sottolineato dal Presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, Prof.ssa Giovanna Iannantuoni, individuare una crescita sostenibile del numero programmato risponde alla necessità di trovare un equilibrio fra le esigenze di più parti: da un lato, quelle dei giovani aspiranti medici, ognuno con il proprio sogno da mettere alla prova e il desiderio legittimo di vederlo realizzato; dall’altro, l’esigenza di difendere il Sistema Sanitario Nazionale che passa per la rilevazione continua del fabbisogno di medici e, infine, la necessità di formazione di qualità, che deve essere adeguatamente sostenuta.
Agire avendo chiaro il modello di Università che si vuole strutturare è l’unico modo per dare senso alle necessarie riforme.
Humanitas University si impegna a contribuire attivamente a questo cambiamento, promuovendo una visione in cui le tecnologie avanzate integrano, ma non sostituiscono, il valore fondamentale della persona umana che deve restare al centro di ogni decisione in campo medico.
Le sfide dell’Università sono le sfide del Paese per ripartire e per crescere in competitività a livello europeo e internazionale. Con il 43% dei nostri studenti del corso di laurea in Medicina provenienti da altri paesi, Humanitas University ha nel suo DNA una vocazione necessariamente internazionale, per questo particolarmente esposta a ciò che avviene oltre i nostri confini nazionali.
Gli avvenimenti mondiali degli ultimi mesi hanno comportato insicurezza, soprattutto per i nostri studenti, e hanno pesantemente inciso nel sentimento di sentirci comunità, un termine che non uso a caso.
Le università sono luoghi che edificano coscienze critiche, formano donne e uomini capaci di affrontare cambiamenti e orientare il futuro. Questo lo fanno, insieme, docenti, personale tecnico, scientifico, amministrativo, studentesse e studenti. Nonostante le insicurezze e il senso di incertezza, in questo ultimo anno la comunità universitaria è riuscita a fare emergere il ruolo più autentico e affascinante della scienza, quello di collante delle coscienze individuali al di là di ogni appartenenza etnica o religiosa. Uno spazio di inclusione ed equità in cui superare i gap territoriali, sociali e di genere che ancora possono sussistere.
Dobbiamo continuare a investire sulle persone: ciò significa promuovere programmi non solo per rafforzare i profili di competenza, ma anche per consolidare le carriere dei giovani studenti e sostenere la mobilità fra le diverse istituzioni.
La vita accademica ha anche bisogno di luoghi adeguati per crescere e rafforzarsi. Il Roberto Rocca Innovation Building rappresenta una risposta tangibile al nostro bisogno di essere sempre sulla linea di frontiera non solo per lo sviluppo della ricerca ma soprattutto per una reale e proficua contaminazione di saperi, metodi e competenze, come nella MEDTEC School nata dalla collaborazione con il Politecnico di Milano.
Guardando al futuro, vedo uno sviluppo di Humanitas University che abbraccia questi principi. Negli anni a venire, lavoreremo per costruire infrastrutture all’avanguardia che sostengano la nostra missione.
Stiamo creando programmi accademici innovativi: un Master of Science in Data Analytics and Artificial Intelligence in Health Sciences in collaborazione con l’Università Bocconi, così come nuovi corsi di Dottorato in collaborazione con altri Atenei strettamente connessi col mondo dell’industria e delle istituzioni, come ad esempio il Politecnico di Milano.
Promuoveremo una ricerca che contribuisca al progresso scientifico e alla cura della comunità, come stiamo facendo con l’implementazione all’interno dell’Innovation Building di due nuovi laboratori: il 3D Innovation Lab, che unisce le tecnologie di stampa 3D classiche, con resine e siliconi, alle nuove macchine per la stampa a base di cellule e tessuti; e il CLEM Core, una piattaforma che integra la microscopia ottica con la microscopia elettronica, per arrivare fino alle scale molecolari.
Importanza crescente avrà anche il nostro impegno di responsabilità sociale, vera “terza missione” di ogni Università, che ci vede promotori di sviluppo, inclusione, accesso al sapere in particolare sul territorio locale e nell’area metropolitana di Milano. Il benessere delle persone, l’attenzione a stili di vita sani e una sempre crescente consapevolezza della nostra responsabilità anche in questo ambito saranno al centro delle nostre azioni e della nostra proposta culturale.
In conclusione, la nostra visione di sviluppare un’Università di Health Sciences va al di là della formazione professionale: l’obiettivo è costruire una comunità che abbracci i valori della formazione, del dialogo, dell’inclusione e dello scambio culturale.
Humanitas University ha l’ambizione di essere il luogo in cui le scienze della vita si integrano armoniosamente con la cura della persona e della comunità.
Guardando avanti, lavoreremo instancabilmente per plasmare un futuro in cui la tecnologia e la persona umana collaborino per il bene di tutti.
Grazie per la vostra attenzione.”