Coronavirus e genetica: uno studio di Humanitas University esplora i motivi per cui gli italiani si infettano più dei cinesi e gli uomini più delle donne
Perché gli uomini si ammalano più facilmente di COVID-19 e con sintomi più gravi? E perché esistono grandi differenze nei numeri che fotografano i contagi e la gravità della malattia nella popolazione in Italia, Cina e altri paesi? Esistono fattori genetici che aumentano il rischio di contrarre l’infezione causata dal virus SARS-CoV-2 e che influenzano la gravità del decorso clinico? Un gruppo di ricercatori di Humanitas University ha provato a rispondere a queste domande attraverso uno studio di genetica molecolare con l’obiettivo di identificare le ragioni delle caratteristiche uniche che l’epidemia di COVID-19 ha assunto in Italia.
Il team guidato dal Prof. Stefano Duga, Ordinario di Biologia Molecolare, e con il contributo dei professori Rosanna Asselta, Elvezia Maria Paraboschi e Alberto Mantovani (professore Emerito Humanitas University e Direttore Scientifico Humanitas), ha analizzato due proteine che sono cruciali per l’ingresso del virus nelle nostre cellule: si tratta dell’enzima convertitore dell’angiotensina 2 (codificato dal gene ACE2), e della serin proteasi transmembrana 2 (codificata dal gene TMPRSS2). Due geni che potrebbero essere responsabili delle diverse manifestazioni cliniche che si osservano nei maschi e nelle femmine e nelle diverse popolazioni.
Lo studio ha sfruttato dati già esistenti in letteratura, attingendo agli enormi database disponibili online in cui sono presenti le sequenze di grosse porzioni di genoma di oltre 150mila persone, suddivisi per popolazione. Il gruppo del Prof. Duga ha inoltre a disposizione informazioni su circa 4mila soggetti italiani. I ricercatori sono riusciti a provare che ci sono profonde differenze nelle varianti genetiche, che sono distribuite in modo diverso nella popolazione italiana rispetto a quella cinese. Questo è vero in particolare per una variante, chiamata p.Val160Met, e per due combinazioni di varianti (aplotipi) nel gene TMPRSS2. Uno di questi aplotipi nella popolazione cinese è quasi assente mentre è frequente nella popolazione italiana.
L’ipotesi dei ricercatori è che alcune varianti siano responsabili di una maggiore produzione di TMPRSS2, che favorisce l’internalizzazione del virus. Gli italiani potrebbero quindi avere caratteristiche che facilitano l’ingresso del SARS-CoV-2 nelle cellule. Ma c’è di più. Il gene TMPRSS2 è regolato dagli androgeni, ormoni sessuali maschili, e questo potrebbe spiegare la maggiore predisposizione degli uomini a contrarre il virus. Le varianti genetiche sono infatti presenti sia negli uomini che nelle donne, ma gli ormoni sessuali potrebbero spingere una maggiore produzione della proteina negli individui di sesso maschile.
Cosa suggeriscono questi risultati? I ricercatori di Humanitas ritengono che indichino l’esistenza di differenze genetiche che possono influenzare la facilità con cui diversi individui contraggono l’infezione da SARS-CoV-2 e la diversa gravità dei sintomi della malattia da persona a persona. È bene tenere a mente che si tratta di studi condotti per ora sulla popolazione generale, e non sui malati. Ciò significa che gli esiti dello studio forniscono solo le basi per futuri approfondimenti sui pazienti COVID-19. Altre analisi saranno necessarie per confermare il ruolo di questi due geni nella diffusione e negli effetti della malattia. In questo senso il gruppo del Prof. Duga ha lanciato un progetto di studio, chiamato GENIUS (GENetics agaInst coronavirUS) in collaborazione con l’Università Milano Bicocca e l’Università degli Studi di Milano, per indagare l’intero genoma alla ricerca di varianti che possano influenzare la suscettibilità e/o la resistenza alla malattia indotta dall’infezione da SARS-CoV-2. Da questo punto di partenza emerge una speranza: quella di fornire, in tempi rapidi, una migliore assistenza alle persone che hanno contratto SARS-CoV-2, in particolare individuando precocemente quali pazienti fra i soggetti più fragili, ovvero le persone anziane e con comorbidità, sono più a rischio di complicanze gravi.