Bronchiectasie: 370 esperti a confronto al terzo European Bronchiectasis Workshop in Humanitas University
In Italia una persona su 600 – prevalentemente donne over 60 – soffre di bronchiectasie, una malattia respiratoria cronica per cui non è ancora disponibile una terapia farmacologia approvata.
Tosse, espettorazione quotidiana e infezioni respiratorie ricorrenti come bronchiti e polmoniti sono i sintomi più frequenti. È caratterizzata da una dilatazione abnorme e irreversibile di alcune porzioni dell’albero bronchiale che riduce la clearance mucociliare, il meccanismo naturale di autopulizia che protegge l’organismo dalle infezioni. Le bronchiectasie possono essere congenite o acquisite, cioè esito di una malattia, come una polmonite mal curata.
Diagnosi e trattamento
Poiché i sintomi non sono specifici e la diagnosi difficoltosa, i tempi per giungere a un profilo diagnostico sono lunghi, variando tra i 3 e i 5 anni. La TAC del torace ad alta risoluzione è il gold standard per la diagnosi. La fisioterapia respiratoria è invece il trattamento principale, che mira a rimuovere il muco che tende a ristagnare nei bronchi dilatati. Inoltre, possono essere utilizzati gli antibiotici, le terapie immunomodulanti nei pazienti più gravi e farmaci broncodilatatori nel caso di deficit respiratorio, oltre a trattamenti per le due principali complicanze della malattia: le riacutizzazioni e la presenza di sangue nell’espettorato.
European Bronchiectasis Workshop
Lo scorso 23-24 febbraio si sono riuniti oltre 370 specialisti europei presso il Simulation Lab di Humanitas University, in occasione del terzo European Bronchiectasis Workshop. All’evento hanno partecipato pneumologi, fisioterapisti, infermieri, pediatri, medici di Medicina Generale, radiologi, immunologi, infettivologi e microbiologi clinici impegnati nella cura delle bronchiectasie.
«Ad oggi non esistono terapie farmacologiche approvate e specifiche per curare i pazienti con bronchiectasie, e la gestione passa soprattutto attraverso la fisioterapia respiratoria quotidiana e un oculato utilizzo di antibiotici. Le ultime evidenze però – spiega Stefano Aliberti, professore ordinario presso Humanitas University e responsabile di Pneumologia dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas, nonché coordinatore del workshop – dicono che siamo di fronte a una malattia sostenuta da un’importante componente infiammatoria dei bronchi. Fino a pochi anni fa si riteneva che le terapie dovessero puntare solo al controllo delle infezioni; ora invece si aprono nuovi orizzonti per i pazienti bronchiectasici: alcuni dei farmaci attualmente studiati sono infatti dei modulatori del sistema immunitario, che riducono l’infiammazione a livello bronchiale».
Il workshop è stato introdotto dalla lectio magistralis di Alberto Mantovani, Direttore Scientifico di Humanitas e professore emerito di Humanitas University, sul ruolo dell’immunità e dell’infiammazione come meta-narrazione della Medicina.
Gli specialisti hanno dunque potuto confrontarsi e mettersi alla prova con esercizi di simulazione della gestione dei pazienti con bronchiectasie.
Tempi per diagnosi troppo lunghi e dati epidemiologici non uniformi e incompleti
Secondo la comunità scientifica europea le bronchiectasie e le loro comorbilità continuano a essere spesso diagnosticate erroneamente e trattate in modo non appropriato. Inoltre, i dati epidemiologici sono tutt’ora incompleti e variano da paese a paese. Un aiuto concreto in questa direzione arriva da EMBARC, il Registro Europeo delle Bronchiectasie: esso promuovere la ricerca clinica su tale patologia attraverso la condivisione di protocolli, aree di ricerca e competenze acquisite.
«In questo panorama in rapida evoluzione – conclude il prof. Aliberti – è necessario riunire gli esperti per migliorare costantemente la conoscenza e la gestione di questa malattia. Inoltre, bisogna concentrarsi sui nuovi studi per aiutare le ristrette ma attive comunità di specialisti che studiano le bronchiectasie. È inoltre necessario allargare il networking clinico e di ricerca che, negli ultimi anni, ha portato molti miglioramenti nella conoscenza e nella gestione della malattia: il nostro obiettivo primario rimane sempre il benessere e la qualità di vita dei pazienti».