Chirurgia Ecosostenibile: ecco di cosa si tratta


Gli obiettivi posti dalle Nazioni Unite per raggiungere, entro il 2030, migliori livelli di sviluppo sostenibile in tutto il pianeta coinvolgono anche il settore sanitario, sebbene questo non sia il principale pensiero dei pazienti e dei loro familiari al momento di dover affrontare le cure per una malattia. Un atteggiamento del tutto comprensibile che, tuttavia, non esenta il settore medico-chirurgico dal fare qualche riflessione.

Il professor Antonino Spinelli    Segretario Generale della Società Europea di Coloproctologia (ESCP) e responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia del Colon e del Retto del’IRCCS Istituto Clinico Humanitas, ha affrontato questo tema in un articolo dal titolo «Operation Sustainable Surgery: saving lives must not be to the detriment of the Planet», pubblicato ad agosto sul sito scientifico Medscape. Secondo il professor Spinelli, «il settore sanitario, e in particolar modo le sale operatorie, sono molto dispendiosi in termini di risorse». Per esempio, il National Health Service (servizio sanitario nazionale) inglese, che ha l’ambizione di diventare a zero emissioni entro il 2040, ad oggi produce 24,9 milioni di tonnellate di CO2 l’anno: un solo reparto di chirurgia ne produce in dodici mesi circa 5 mila tonnellate, mentre ogni singolo intervento chirurgico è responsabile della produzione di 173 chilogrammi di CO2.

La rivista scientifica The Lancet ha calcolato che il settore sanitario è responsabile del 4,6 per cento delle emissioni globali di carbonio. «È vero – spiega Spinelli – che i chirurghi hanno altre incombenze e pensieri, ma è altrettanto vero che ogni chirurgo non deve più focalizzarsi solo sulla salute dei pazienti come indicatore di successo, ma anche sulla salvaguardia dell’ambiente, della popolazione mondiale e delle future generazioni. A questo riguardo, la Società Europea dei chirurghi colorettali, che servo come Segretario Generale,  sta conducendo una campagna per migliorare le pratiche e comprendere meglio gli ostacoli che i chirurghi del colon-retto stanno affrontando. Tuttavia, per attuare molti dei cambiamenti che devono essere fatti, la società chirurgica necessita di una maggiore collaborazione, a livello organizzativo, nazionale e internazionale».

Ma come, nella pratica, i chirurghi possono cominciare a fare la differenza? Partendo dalle piccole cose, come tutti: aprire in sala operatoria solo gli strumenti che verranno certamente utilizzati, iniziare a sfruttare di più la telemedicina, dove possibile e sicuro, e le altre tecnologie. E puntare più sulla prevenzione, al fine anche di evitare interventi chirurgici non necessari. «Ma un grande sforzo deve essere fatto dai consigli di amministrazione degli ospedali, dai produttori di dispositivi medici e dai responsabili delle politiche sanitarie», chiarisce Spinelli. Per esempio, sui prodotti monouso usati durante gli interventi si può fare una profonda riflessione: «Sebbene utilizzati con l’intento di prevenire le infezioni chirurgiche, il loro impiego è correlato ad una aumentata produzione di CO2. Sarebbe opportuno stabilire un elenco basato sull’evidenza di strumenti pluriuso sicuri e adeguatamente sterilizzati da utilizzare quando possibile. Quasi dieci anni fa, l’Associazione dei chirurghi di Gran Bretagna e Irlanda ha rilasciato una dichiarazione di consenso sulla chirurgia economicamente conveniente in cui gli autori affermavano che il rischio di infezioni crociate con strumenti chirurgici monouso è “infinitamente piccolo”, ma che ” l’isteria porta a sprechi colossali”. Da allora, i progressi sono stati lenti».

Un altro tema cruciale è quello che riguarda gli interessi finanziari di chi produce i dispositivi medici: «Più acquistiamo prodotti monouso, maggiori saranno i loro profitti. Dovremmo quindi mettere in discussione l’insistenza di una parte dell’industria sul fatto che alcuni articoli debbano essere monouso», continua Spinelli suggerendo che «per instillare un cambiamento più ampio nel settore, la direzione ospedaliera deve utilizzare la propria agenzia per procurarsi strumenti riutilizzabili e collaborare con i produttori per trovare soluzioni nuove e innovative».

Un terzo punto è il consumo di acqua, sempre molto elevato nelle sale operatorie: alcuni studi suggeriscono, a tal proposito, che la sicurezza per chirurgo e paziente resta invariata sia che ci si lavino le mani in modo tradizionale sia che si usino prodotti alcolici che non necessitano il lavaggio con acqua. In questo modo si risparmierebbero 60,2 litri di acqua per ogni intervento.

Infine, anche i gas utilizzati per l’anestesia ricoprono un ruolo centrale perché, essendo riconosciuti come gas serra, contribuiscono al 5 per cento delle emissioni di CO2 di tutto il sistema sanitario nazionale inglese. «Potremmo però sostituirli con l’anestesia a basso flusso, o con le “tecnologie della zona blu” che catturano, recuperano e purificano gli agenti alogenati; o con l’anestesia endovenosa totale, che ne evita completamente l’uso».

HUMANITAS GROUP

Humanitas è un ospedale ad alta specializzazione, centro di Ricerca e sede di insegnamento universitario. Ha sviluppato la sua organizzazione clinica istituendo centri di eccellenza specializzati per la cura dei tumori, di malattie cardiovascolari, neurologiche e ortopediche – oltre che un centro oculistico e un fertility center.