A Humanitas un grant americano da 1.25 mln di dollari per studiare il sistema immunitario dei malati di cancro: è la prima volta
Un finanziamento di 1 milione e 250 mila dollari per cinque anni finalizzato a studiare le reazioni del sistema immunitario nei pazienti malati di cancro. Un riconoscimento economico importante arrivato lo scorso luglio dal Cancer Research Institute fondazione americana privata no profit che ha sede a New York e che per la prima volta finanzia un progetto italiano. Il progetto vincitore è quello portato avanti dal laboratorio di Immunologia Traslazionale dell’Istituto Clinico di Humanitas guidato dal dottor Enrico Lugli, che è anche responsabile del servizio di Citometria a Flusso per Fondazione Humanitas per le Ricerca. «Il riconoscimento del Cancer Research Institute è per noi motivo di grande orgoglio, anche perché ad avercelo assegnato è stata una commissione di scienziati di fama mondiale che hanno cambiato il modo di studiare l’immunologia», commenta il dottor Lugli. «Il riconoscimento che queste personalità hanno dato al lavoro portato avanti dal mio team per me è fondamentale perché dà fiducia a una ricerca che è considerata una promessa per il futuro. Non sarei riuscito a raggiungere un tale obiettivo senza la competenza e la passione del gruppo di ricerca con cui collaboro».
Il team coordinato da Lugli è infatti formato da dodici professionisti, tra cui dottorandi, post doc, bioinformatici, un medico oncologo e tecnici specializzati in tecnologie avanzate. Da anni il laboratorio di Immunologia Traslazionale dell’Istituto Clinico di Humanitas si occupa di «studiare il sistema immunitario nel contesto del cancro e dal 2011 a questa parte abbiamo assistito a una rivoluzione, dal momento che sono arrivati farmaci cosiddetti immunoterapici in grado di risvegliare il sistema immunitario del paziente contro il tumore». Si tratta di farmaci che possono «togliere i freni della risposta immunitaria, soprattutto a livello di cellule T che in questo modo possono funzionare di nuovo». Il problema sta, come chiarisce Lugli, «nel fatto che solo una parte dei pazienti trattati risponde in maniera duratura alle terapie. La scoperta più rilevate che abbiamo fatto riguarda la tipologia delle cellule coinvolte nella risposta immunitaria. Notoriamente, le cellule T sono presenti nei tumori ma considerate disfunzionali in toto. Abbiamo scoperto invece che rispondono ad una gerarchia, secondo cui una piccola popolazione, poi definita simil-staminale, mantiene la capacità di esercitare una potente risposta immunitaria nel lungo periodo». Sul tema il gruppo di lavoro coordinato da Lugli ha fatto numerose pubblicazioni frutto del lavoro in laboratorio. «A differenza di qualche anno fa, ora conosciamo con maggiore precisione il bersaglio degli immunoterapici e questo ci consente di sviluppare terapie più mirate potenziandone l’effetto».
Queste conoscenze sono anche fondamentali per approcci di immunoterapia nei confronti dei tumori del sangue basati sul cosiddetto trasferimento cellulare secondo cui le cellule immunitarie circolanti del paziente vengono prelevate, modificate in laboratorio per renderle in grado di attaccare le cellule tumorali stesse, e quindi reinfuse. Tuttavia, i protocolli clinici hanno ancora dei limiti perché le risposte immunitarie possono essere di durata limitata o andare incontro a resistenze. «In questo ambito», chiarisce Lugli, «noi e altri gruppi di ricerca abbiamo scoperto che il trasferimento di cellule simil-staminali funziona molto bene per questa tipologia di cancro, per cui quello che cerchiamo di capire è come aumentare la potenza di queste cellule riprogrammando il loro comportamento in laboratorio prima dell’infusione.
La speranza è che riusciamo ad identificare i meccanismi molecolari che sono alla base delle risposte immunitarie durature, così da rendere sensibili alle attuali immunoterapie quei pazienti che ora sono resistenti». Per tutto questo è importantissimo il sostegno economico arrivato dal Cancer Research Institute.