Giornata Internazionale dell’Infermiere: il nostro studente Simone racconta la sua vocazione
«Mi sono iscritto al corso di infermieristica di Humanitas perché dopo tanti anni come volontario della Croce Rossa sentivo il bisogno di avere un attaccamento verso il paziente che fosse umano. E in questo l’infermiere è la figura più giusta». Simone Nicoli ha 25 anni e frequenta il primo anno del corso di infermieristica all’Humanitas University, nella sede di Bergamo, città di cui è originario. Abbiamo raccolto la sua testimonianza in occasione della Giornata Internazionale dell’Infermerie perché, pur non essendo ancora tecnicamente un infermiere, Simone ha già dentro tutta la passione per questo lavoro.
Per molti anni, prima di iscriversi, Simone è stato un volontario della Croce Rossa e in ambulanza ha trascorso infiniti giorni e infinite notti, su e giù tra Seriate e Bergamo ad assistere i pazienti che li chiamavano. Poi, dopo l’ultimo anno, quello della pandemia, la sua scelta di diventare infermiere non è stata più rimandabile. «Come soccorritore, ho passato l’intero marzo 2020, quello in cui la pandemia impazzava nella bergamasca, in ambulanza. Ed è stato proprio bello rendermi conto di come l’infermiere rappresentasse in tutto e per tutto il bisogno delle persone. Ricevevamo centinaia di chiamate al giorno e gli infermieri che operavano con noi volontari erano un punto di riferimento per tutti i pazienti. E non solo per l’assistenza medica, no: anche e soprattutto per il supporto psicologico. Molte delle persone che soccorrevamo erano veramente disperate, chiamavano il più delle volte per avere delle rassicurazioni, anche solo per parlare e avere conforto», ricorda Simone. «È stato un periodo difficile per tutti noi ma a fine giornata io avevo sempre la percezione di essermi speso per tutti anche se mi rendevo conto che mi mancava un pezzetto. E quel pezzetto era la preparazione che ha un infermiere. Per esempio: i soccorritori non sono pronti ad affrontare l’esperienza della morte e con il Covid purtroppo questa è stata una condizione che si è presentata spesso, sia con i pazienti che con i loro famigliari. Non sempre, purtroppo, eravamo “attrezzati” per farlo. È stato in quel momento che ho capito che dovevo iscrivermi, studiare e, nel contempo, continuare con l’esperienza sul campo».
Il percorso di studi di Simone è appena iniziato eppure lui ha già un paio di idee molto chiare su futuro che lo attende alla fine del percorso di laurea triennale. «Al momento sto valutando due ipotesi. La prima – dice – riguarda la possibilità di dedicarmi all’emergenza territoriale, quindi continuare con il servizio per il 118. È un lavoro che mi intriga molto, è affascinante perché ogni volta ti devi reinventare e poi sei molto vicino alle persone. Qui si vede davvero se un infermiere è in gamba, perché può davvero fare la differenza. La seconda opzione è invece radicalmente opposta e finora non l’avevo mai presa in considerazione. Si tratta della degenza di lungo corso in reparti come, ad esempio, quelli di oncologia. In questo senso, sarebbe più un impegno a livello umano, sono solitamente situazioni molto pesanti, in cui l’infermiere si espone moltissimo e viene inserito nel percorso del paziente». Due realtà diverse tra loro ma per Simone allo stesso modo importanti e intense. «Però ancora devo fare il primo tirocinio, che inizierà a giugno, e sono certo che l’esperienza in ospedale mi aiuterà molto a capire in quale settore vorrò lavorare una volta laureato».